giovedì 26 aprile 2012

residence azzurro

Il giardino tra le due case identiche
aveva l'erba malconcia e a malapena un'altalena.
Il mare era più vicino, il sole più accogliente. Già allora la stessa parola
svegliava le giovani famiglie nelle vacanze estive.
Una camionetta in discesa, un accento napoletano al megafono.
- "A L I C I !" -
Sono passati vent'anni, la voce non è cambiata.
Il ragazzo con cui giocavo a calcio con la saracinesca come porta
ora ha due figlie e un'Audi A6. Stessa cosa l'insegnante di piano
mia e di mio fratello. Ha due figli, gli stessi occhi azzurri
e qualche ruga in più. Il surf su cui viaggiava sulle onde
è appeso nel parcheggio della moto del marito.
C'era l'erba malconcia e a malapena l'altalena,
il treno sulla ferrovia passava veloce
e lo fa ancora.
Andavo matto per i treni che trasportavano le macchine,
pensavo quanto fosse figo farsi un viaggio senza guidare,
tanto ti porta il treno, c'è qualcuno che guida per te.
Mi piaceva guardare dal balcone il traffico sull'autostrada,
verso nord tutto vuoto fino a fine agosto.
Avevo il codino e insomma,
la spiegazione sta nel quinto rigore tirato alto.
There are things we can't recall, blind as night that finds us all.
Ora il giardino è pulito, ha alte palme
e un sistema automatico lo innaffia ogni mattina.
L'altalena non c'è più.
Il mare si è allontanato come molte altre cose
in cui la vita non si riconosce.
Il sole non è più importante delle nuvole piovose,
il chiarore dei capelli si è spostato sotto le labbra.
La sabbia brucia ancora come una volta.
La sabbia continuerà a a bruciare.
Che il mare si allontani o no,
che gli anni passino, oppure no.
Le famose mode morte che avvertono il fuggire degli anni.


lunedì 23 aprile 2012

nessuna differenza

Stanotte ho sognato di essere in ospedale.
Dovevo fare delle visite, quali di preciso non saprei.
C'era ricoverato un mio amico e sua sorella,
che nella vita fa la traduttrice, lavorava da infermiera.
In una sala personaggi che potresti incontrare nei circoli di paese
guardavano la partita rumorosamente.
In una corte esterna persone protestavano contro la precarietà.
Il mio amico era convinto che fossi andato lì a trovare lui,
ma non sapevo di preciso cosa ci stessi facendo, non capivo.
Camminavo nel corridoio affollato.
Il mio amico mi spiega quanto è utile la stampella che ha trovato.
Lo fa stare bene. Io mi rendo conto di essere in grado di camminare,
ma è un po' come se quella stampella la volessi anch'io.
Allora esco dall'ospedale e sto guidando una macchina non mia,
su strade che non conosco, su strade che non fanno rumore.
Penso a Raymond, la felicità che arriva inaspettata. Sarà.
A volte la felicità la si tiene nel taschino e la si tira fuori
quando per strada non ci sono indicazioni.
Se la strada è buia amo la sorpresa di ciò che sbuca dietro l'angolo.
Andare a sbattere fa parte del gioco. E' buona abitudine
dimenticare ogni regola. E' buona abitudine dimenticare.
Che col coraggio di ricordare, no,
non c'è nessuna differenza.

martedì 17 aprile 2012

acqua chiara alla coscienza

Guardò una foto presa da un cassetto
nel salotto dove nessuno entra mai.
Dopo un viaggio dall'altra parte dei pensieri,
un po' d'acqua chiara alla coscienza
da raccogliere nel cavo della mano,
si guardò dentro e rise,
ma solo dentro.
Dentro succedono un sacco di cose.
Dentro si comincia a fumare. Fumo buono.
Dentro si piantano semi nel prato di casa.
La foto è un sorriso, indefinibile, vivo. Senza tempo.
Quei sorrisi appartengono. Vivono nei cassetti dei salotti
in cui nessuno entra mai.
In quei salotti succedono un sacco di cose.
Si viaggia, si racconta. Si piange, ci si viene addosso.
In quei salotti dove nessuno entra mai
il rumore delle strade non arriva.
Calmò la sete nella via assolata.
Uscì a piedi nudi
da quel salotto dove nessuno entra mai,
lasciando la foto nel cassetto.
Poi fece la lavatrice.
Calmò la sete, aprendo la finestra.
Si chiese da quanto tempo quell'orologio
segna le otto meno un quarto
e per quanto ancora continuerà a farlo.

lunedì 9 aprile 2012

fotografia

Le lucertole corrono agitate, spaventate dal mio passo.
L'argilla è dura e spaccata, secca cade nel buio.
Il sentiero è da scoprire come ogni cosa, come ogni virtù.
E' troppo presto per un viaggio a Bisanzio,
per guardarsi attorno e non riconoscere il presente.
L'età dell'ormai è su altre rotte, spinta da altri venti.
Sono falsati i giochi dell'orizzonte,
quando la terra trema hanno tutti paura,
quando il fuoco è sconosciuto
ci si rintana nella musica rassicurante,
nella giusta ombra del non sentirsi assente.
Accecandosi e ingoiando i raggi del sole
con la retina indifesa, diventa tutto più chiaro.
La nebbia del cuore si dilata, l'onda accarezza la riva.
Dalle nuvole uno sguardo freddo sulla vita,
ci saranno altri sentieri, altre virtù.
Nell'argilla leggo il mio nome,
nel buio c'è più di un orizzonte da lasciare andare.

sabato 7 aprile 2012

Conrad ha fatto bene

Conrad ha fatto bene a scrivere quella confessione, La linea d'ombra.
Io ho fatto bene ad interrompere il silenzio quand'era il momento.
Ho fatto bene a non aver niente da fare per ammettere la semplicità.
Conrad ha fatto bene a viaggiare per mare. A specchiarsi nel sale.
Ammettere la semplicità. Viaggiare per mare.
Non c'è nessuna differenza.
Una cosa è certa, io non sono Conrad. Lo pensavo oggi.
Stavo in mezzo a un paese intero che recitava il padre nostro.
Un paese intero. Sotto la pioggia sottile. Le colline infilzavano le nuvole.
Ero tentato di rubare il bastone di mio nonno. Ero tentato di sentirmi meglio.
Ero tentato. Alla terza grappa ho permesso a mia madre di farmi le carte.
Ci ha preso, naturalmente. Anche Conrad ci ha preso.
Ma io non sono Conrad. La linea d'ombra va attraversata.
Che ci sia il sole o no. Che la pioggia abbia smesso di cadere, oppure no.

mercoledì 4 aprile 2012

le cose che ricordo

Le cose che ricordo sono il vivere il gelo tra gli scogli e il sole d'estate. Le cose che ricordo camminano con me. Si affacciano con me dalla finestra, si riflettono allo specchio e si specchiano indifesi. Si lasciano guardare e accarezzano la vita. Alle cose che ricordo ne avrei di cose da dire, da raccontare. Vorrei raccontargli le nuvole di aprile, i capricci di sentirsi invisibili come tulipani nel cemento. Alle cose che ricordo vorrei descrivergli la traiettoria metallica dei proiettili di questa guerra che sfiorano l'anima e le tempie. L'inganno della compagnia, l'inganno del fiume che scorre e che ha paura di diventare mare. Le cose che ricordo mi guardano allontanarmi di spalle e ingoiano i sorrisi e i fallimenti. Le cose che ricordo mi fanno prendere la rincorsa, mi fanno prendere l'aereo e sorvolare la trincea. Le cose che ricordo mi rendono possibile. Com'è possibile la meraviglia e la luce, com'è possibile la distrazione, com'è possibile il sudore e la pelle sotto le mani. Le cose che ricordo sono la notte aperta in due.
Dove stelle brillano come il migliore degli arrivederci.













foto di Su Graz

domenica 1 aprile 2012

mentre cammino

Mentre cammino vengo seguito da un coniglio bianco e nero.
E' nella siepe che costeggia il marciapiede. Tra le foglie e i rami sento il fruscio del suo passo che va a scatti. Quando mi accorgo della sua presenza mi fermo. Si ferma anche lui. Ci guardiamo.  Mi viene in mente Ferlinghetti.  Il male è l'amore fritto allo spiedo e rivoltato su se stesso. Muove piano il muso, continua a fissarmi. C'è un bel sole, rassicurante. C'è chi vorrebbe fosse sempre primavera. Mi avvicino e anche il coniglio si avvicina. Fa uno scatto fino alla punta delle mie scarpe. Gli gira intorno. Dura circa un minuto. Poi scappa via. Sparisce nella siepe. C'è un bel sole, rassicurante. Rimango un poco fermo.
Una macchina suona il clacson senza motivo.
Ricomincio a camminare.