sabato 31 dicembre 2011

buon anno

Un'altro brindisi al tempo che passa, come se poi contasse qualcosa. La verità è che la merda a galla del 2011 ci sarà anche nel 2012, e le stesse velleità di liberartene coincideranno con le passate. Le persone continueranno a inseguire il carro delle proprie mancanze senza sapere chi tira le redini. Perchè niente è dovuto e il buon proposito di tutti, compreso il mio, dovrebbe essere quello di scegliere il miglior momento per fare silenzio. Per ricominciare non bisogna cambiare, il cambiamento frutta quando si è consapevoli di cosa è permanente. Poi l'amore, la famiglia, gli amici, la casa, il lavoro, non sono il chiodo che ti fa tenere il quadro dritto. Conta avere la sacca piena di colori e non aver paura della tela bianca. Il buon proprosito non è riempirla, il buon proposito è quella di aggiungere qualcosa quando è il momento, senza lasciarsi marcire dalla paura.
Nel bagaglio di cartone della consapevolezza ci son poche certezze, una sta nel titolo della canzone che fa da sigla alla fine di quest'anno. E potete giurarci, varrà anche l'anno prossimo.



Buon anno,
ovunque voi siate,
con chiunque voi siate.

mercoledì 28 dicembre 2011

battito di ciglia

Ci sono sempre due piccole barche affondate ad attirare la mia attenzione, quando mi alzo e apro la finestra della mia stanza. Nel porto entrano correnti agitate e poco più, un traghetto è parcheggiato da chissà quanto tempo. Il vento è sempre quello che mi spettinava quando uscivo per andare a scuola, con l'aroma d'aceto della cantina all'angolo a pungermi le narici e a farmele grattare. Quando ascoltavo La canzone di Marinella pensavo parlasse del mio quartiere e allora per questo mi piaceva, solo per questo. Poi i tempi cambiano, io cambio, la cantina cambia gestione, le canzoni rimangono.

Oggi ho ricevuto un bellissimo regalo. L'oggetto di per sè non conta, conta di più l'amica che me l'ha fatto. Ha gli occhi dolci di chi ha visto portarsi via troppe cose, tranne la forza che la fa andare avanti. Il mio silenzio acconsenste quando parliamo di ipocrisia, di presente, di rabbia. Sorridiamo quando mi parla di un suo corteggiatore che le porta dei fiori che lei gentilmente accetta e porta a casa, ma finisce lì. Io non mi aspettavo quel regalo e lei se n'è accorta, i nostri occhi si son somigliati quando mi ha detto che alcuni regali uno sente di farli e sente di farli alle persone giuste. I nostri occhi si son somigliati, e i quarantaquattro anni di differenza che ci separano si sono azzerati nel nostro abbraccio e nel nostro battito di ciglia.

giovedì 22 dicembre 2011

verso la notte e il sud

Un uomo basso, cappellino all'indietro e zaino con sacco a pelo mi chiede se può vendermi il suo biglietto per Firenze. Dietro uno un po' più alto e occhi scavati mi guarda come se fossi il messia. Dì la verità, gli faccio, l'hai trovato. Questo no, mi fa, ma quando li trovi dev'essere così, pulito e nuovo, puoi controllare. Controllo, glielo compro, tieni il resto. Sul treno conto i graffiti, li riconosco, mi stappo una bottiglia che mi fa pensare a un respiro, a Bob Dylan. Won't you come see me, Queen Jane?

Sull'autobus verso la notte e il sud una donna si lamenta che stavolta il mezzo è blu e non rosso, che se non l'avesse avvertita qualcuno non se ne sarebbe accorta e l'avrebbe perso ma tu guarda dove sta andando l'italia siamo tutti individualisti pensiamo tutti ai fatti nostri dove andremo a finire con questa crisi e questo governo massì finiamolo qui questo discorso ma tu guarda il cretino dell'autista quanto ci mette il sud è come il nord siamo tutti uguali facciamo tutti schifo si io scendo a Cirò.

Guardo le strade delle province graffiate dagli appennini e dalla neve. Sono come fili dorati nel buio. Spio i camionisti e i loro accessori, c'è chi ha l'i-pod appeso, chi proprio un computer, chi sta guardando un film sul computer, chi non ha niente, neanche lo stereo. Le stazioni di servizio sono inondate dai libri di Steve Jobs, le ricette con la Parodi che si ciuccia il dito, ragazzi ubriachi bevono un corretto alla sambuca e in una macchina un padre mette lo zucchero nel caffè del figlio.

Dormo due ore, mi sveglio col sole. C'è chi scende a Cariati, a Strongoli mi metto vicino all'autista. Parliamo del mare, ti potevi fare il bagno l'altro giorno, mi fa, mo fa friddo. Saluta tutti gli autisti degli altri autobus che incrocia sulla statale, uno lo saluto anch' io e ci mettiamo a ridere.

Meno male ca si ride, mi fa. Arriviamo. Stazione degli autobus nuova di zecca, evoluzioni Crotonesi per chi arriva, ma soprattutto per chi va via. Saluto l'autista prima di scendere. Fatt a varva, mi fa, ca sì giovane.

C'è tramontana, vento freddo. Il mare sbatte e da camera mia lo vedo bene.
 

lunedì 19 dicembre 2011

"L'avversario"  - di Emmanuel Carrère.

Jean-Claude Romand ha sterminato la sua famiglia, moglie e bimbi piccoli, poi è andato nella casa tra i boschi dove vivevano i suoi anziani genitori e ha ucciso anche loro. Ritornato a casa, ha cosparso di benzina ogni angolo e ha cercato di bruciare assieme ai corpi dei suoi figli e di sua moglie.
Viene trovato vivo. Tornato in sè confessa gli omicidi e tutte le menzogne che hanno regnato i suoi ultimi diciotto anni. Emmanuel Carrère decide di raccontare la sua storia, e lo fa rivivendola insieme a chi legge, soffrendo.

Orsorosso ne consiglia la lettura, per comprendere meglio le proprie ombre, i silenzi che regnano la solitudine. Ogni silenzio. Ne è stato tratto un film con Daniel Auteuil, che Orsorosso ha avuto la malaugurata idea di guardare di notte.
Guardatelo di giorno, se avrete voglia.


 

lunedì 12 dicembre 2011

monday morning

Le gambe accusano il dormire poco, il dormire poco rivendica la sua innocenza.
Non arrivo ai Passi, faccio un saluto a Gilberto che mi prepara un caffèlatte.
Un vecchino ordina un Titanic, Gilberto prende dal bancofrigo una brocca piena di una bevanda rossa. Ne versa un po' in un bicchiere da prosecco. Mentre metto lo zucchero la domanda sorge spontanea.
- Come mai si chiama Titanic?
- Perchè dopo il terzo affondi.
Il vecchino lo butta dentro in due sorsi, io continuo a mescolare.
- E' una mia invenzione.
- Ovviamente la ricetta è...
- ... segreta.
- Appunto.
Pago, leggo un articolo sul Tirreno di una discussione "politica" al polo Porta Nuova durante il dj set di Roy Paci.
Flashback.
Mi viene in mente qualche settimana fa al Leningrad, stavo mettendo gli ultimi pezzi.
Parliament - Up For The Down Stroke. Premo play.
Si avvicina un ragazzo. Un attimo prima era al tavolo sberciando con un altro tizio in un'altra lingua, credo albanese. Mi chiede Lady Gaga, e come diceva l'uomo in caduta libera dal grattacielo, fin qui tutto bene.
Il meglio arriva dopo, sbiascicando, con tono pacato.
- Senti... non so se tu mi puoi aiutare - ammicca - hai mica del fumo?
- No.
- No perchè... il mio amico voleva fumare.
- Non so davvero come aiutarti.
- No perchè... col mio amico siamo stati a Lucca...
Pausa. Si mette indice e medio sulle labbra, roba da film di Refn.
- No perchè... a Lucca... si fuma. - con occhiolino finale.
E qui non so davvero come controbbattere.
Seleziono il pezzo successivo, mi sembra adatto.
Curtis Mayfield - The Pusherman. Premo play.
- Metti bella, bella, bella musica.
- Grazie.
- Ma non sai se qui qualcuno vende qualcosa... no perchè a Lucca...
- Qui non fuma nessuno.
Insomma, come dicono due mie care amiche, sono le gioie della vita rupestre.
Fine flashback.
Esco dal bar di Gilberto, vado al Margherita. All'entrata c'è il Senegalese che da otto anni vedo tutte le volte che esco di casa, e da otto anni ci diciamo sempre la stessa cosa.
- Ciao.
- Ciao.
Mentre riempio il sacchetto di noci mi accorgo che fuori è un buio mattino, le luci del market sono sparate al massimo, l'omone alla cassa scorre i prodotti fissando il vuoto e la radio canta Let It Snow. Immagino spuntare un uomo col passamontagna e il mitra che urla fermi tutti questa è una rapina.
E oggi la Dreher costa meno della Whurer.
Vai a capire perchè.

martedì 6 dicembre 2011

coincidenze

Poche notti fa guardo un film, mi devasta. E' tratto da un libro di Carrère.
Stanotte guardo un film, per caso. Mi devasta.
Solo dopo scopro che è diretto dallo stesso Carrère, sempre tratto da un suo libro.
Ci sono film che inseguono il tuo tempo, quello che vivi. Le coincidenze sono puttanate, ma servono a farti pensare. La vita ci chiude dentro a sigarette senza filtri, a riflessioni insonni. Il presente vacilla, il futuro è come la la lana persa dal tuo vecchio maglione, quello a cui sei affezionato. La tiri via col tempo, senza farci caso. Eppure perdi qualcosa e non lo sai. Nella maglia si crea un buco che pensi di far ricucire, ma lo indossi lo stesso.
E intano tiri via altra lanetta, piano, senza pensarci.

venerdì 25 novembre 2011

gufo sbattuto

Non c'è nessuna sottomissione nell'ammettere il proprio presente.
L'anima riflessa del mattino è il linguaggio della colpa, come la custodia continua dei ricordi, come le foglie cadute sui prossimi passi. Con la consapevolezza di non essere eterni, attoniti sulle panchine fredde d'autunno, ossa tremanti e circuiti di sperma clandestino. Nascondersi in un cappuccio e farsi guardare da una bambina in braccio al nonno sotto premature luci natalizie. Reali rischi di omicidio davanti mensa.

- Signore scusi lei vende biciclette?
- Non ancora, piccola testa di cazzo.

Non c'è nessuna sottomissione nell'avere la sensazione di sentirsi un gufo sbattuto.
Belle ali, begli occhi grandi e spietati e le penne spalmate sull'asfalto.
Com'era? Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile parlare dei fantasmi di una mente.
Bisogna prenderli i treni, tutti quanti, prenderli e ingoiarli tutti per riuscire a non lasciarsi andare. Quello che c'è attorno conta meno di zero, quello che c'è attorno non ti vive dentro, non sanguina, non marcisce.
Bisogna chiodarla al muro quell'anima riflessa del mattino.

martedì 15 novembre 2011

sennò vestiti

Stanotte ho incontrato Diane Di Prima, mi chiedeva se avessi freddo.
Così freddo che potremmo farci gelare la birra, dicevo io.
Lei ammiccava e mi lasciava andare, dopodichè la sveglia è stata la vicina,
- dimmi cos'hai o ti riempio di botte, sennò vestiti -
dei termosifoni ne sento l'odore ma non la convinzione,
da poco tempo puliscono anche la via nascosta dietro casa
dove deambulano le vecchiette a braccetto
e gli studenti miei vicini di palazzo che non ho mai conosciuto.
Forse perchè non mi vedono e potrei capirli, lo farei anch'io.
Dans Macabre, recita Marco Fiorito, un uomo responsabile,
- il resto scompare, anche se stabile -
è possibile dare senso a quelle foglie e al loro colore di Novembre
senza fare furti in banca, senza obiettivi che non si sanno usare.
L'acqua alla gola non basta per parlare,
poi il senso fugge e una bugia ne prende il posto.
Meglio mettere le mani nel marcio che c'è in cucina,
per vederla pulita spezzare il manico della scopa
e passare alla cassa.

giovedì 10 novembre 2011

melma e merda

Se qualcuno fosse in grado - magari la mia mente o più semplicemente i miei occhi - di raccontare le parole e gli schiaffi dei pensieri che attraversano i miei giorni, forse capirei meglio quanto di pochi ci si possa fidare. Chi giura e spergiura ha una grande battaglia persa in corso con la propria ipocrisia. Ci sono frasi che solo a sentirle mi lacerano l'intestino, mi strappano la pelle lentamente. Non c'è niente di vero, è questo che il silenzio mi suggerisce, è sempre peggio. Eppure è questa la merda che ci tocca toccare con mano, i complessi di Zelig, il santo che te lo mette in culo dietro l'angolo. Le collezioni di virtù comprate all'asta da chi non ha nemmeno mai sentito l'odore della propria merda.
Credo che 'merda' sia la parola più complicata che sto usando in questo discorso.
Mi nutro consapevole del fantasma che sto diventando. Fantasma nei fantasmi.
Fantasmi di una vecchia illusione, fantasmi di amore indifferente.
Vado a fare nei miei sogni la mia più grande sorsata d'umiltà.

venerdì 4 novembre 2011

badate bene

Esiste una sottile linea di confine tra ciò che la gente vede in te e ciò che la gente vuole da te. Eppure è davvero molto semplice, badate bene. Bastano piccoli spunti, piccole frasi servite su un piatto d'argento per capire cosa si nasconde dietro ad un sorriso. Sorriso falso? Non necessariamente.
Sorridere è una delle azioni più complicate da fare nella vita.
Regalarlo a chiunque è uno sforzo inutile.

C'è una capacità che non appartiene a molti. Il saper scindere nelle persone il fare dall'essere. Io non sono sempre ciò che faccio. Io sono il motivo per cui lo faccio. Se il tuo interlocutore riconosce il motivo per cui agisci, allora ha raggiunto un gradino più alto nella comprensione della tua persona. Nessuno è obbligato a comprendere nessuno, sia chiaro. Ma ci dev'essere un motivo, anche per sorridere a qualcuno.
Se non c'è, preferisco restare ad ascoltare la pioggia.

domenica 30 ottobre 2011

ascoltando chet baker

l'ora legale disarma le lancette e i risvegli
calma tonda e bambini scalano il monte bianco in triciclo
mentre il padre bestemmia allungo la mano
tocco Jonathan Lethem e un altro paio di arretrati
arretrato sarai tu - dicono loro
il caffè non ancora fatto denota il mio ritardo mentale
e la coscenza di provare ancora qualcosa
che tiepido inganno che è il verbo provare
quando "provo sentimenti"
non significa che provo a provarli
il maestro yoda era fin troppo chiaro, fare o non fare
non c'è provare
e l'aver chiaro un sorriso e i capelli dal colore abissale
a coprire uno sguardo che non avevi mai visto
non ha niente a che fare col 'provare'
l'immagine è viva, esiste
e io l'ho chiara nei miei occhi di giovane vecchio
dopo tempo e tempo e ancora tempo
assecondo lo specchio ripetendomi piano
pensi ancora di saperlo
cosa davvero sia l'amore?

sabato 29 ottobre 2011

La incontrava per caso, ad alcune serate con musica e persone e sorrisi tutti uguali.
Sorrisi tinti, vestiti di nero, sorrisi anni '80. L'aveva vista ballare e che le piacesse ballare non se lo aspettava. L'idea di lei aveva assunto altre forme, dopo i discorsi di un mattino di inizio Maggio.

Era già calda Piazza Santa Caterina, i bambini meno del solito, i senegalesi meno del solito.  Loro due sul marmo caldo a parlare delle cose non dette, dell'amore finto sembrando dei bambini vissuti. Partire da un libro che lui aveva letto e lei no, andando con le parole nei posti in cui lei era andata, ma lui no. Parlare dei fratelli, dell'averli, della distanza che va guadagnata. Della granita migliore e su chi dei due dovesse offrirla. A lei non piace che le venga offerta, ma lui offre. Quel pomeriggio fu lungo, l'ultima volta in cui divisero più di tre minuti insieme.

La incontrava per caso, un saluto in Sant'Omobono tra i sorrisi tinti, vestiti di nero, vestiti ad arte. La incontrava e la sua pelle scura era l'ombra in cui la guardava nascondersi. I suoi occhi verdi guardano in basso e lo sanno fare, pensa lui, che goduria dev'essere farla ridere.

Come va, lui le chiede. Tanta voglia di stare sott'acqua, lei risponde.
Ripensò a questa risposta giorni dopo, guardando quel film che convince tutti e nessuno. La tristezza non è compatibile con la tristezza. Lui annuisce e gli occhi come la mente la fanno passare, sgomberano la strada e tutto appare calmo, come un attimo prima che scoppi una bomba.

Lui la incontra per caso, dove lui va sempre a comprare poco con pochi soldi.
Lei fissa il frigo cercando qualcosa per riempire la fame. Lui ha il sapone liquido e le salse già fatte. Lei dice non ci vengo mai qui, per principio. Lui di poche parole, come sempre. Un buona spesa come arrivederci.

Dopodichè tutto torna, tutto riprende l'ordine preciso del suo silenzio.




"e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità"
[Fabrizio De Andrè - Le Passanti]

giovedì 20 ottobre 2011

Yuri della scuola non voleva più saperne, voleva andarsene da Livorno.
Lo pensava tutte le volte che col motorino attraversava il pezzo di Aurelia che unisce Livorno e Pisa. Non perchè amasse Pisa più di Livorno, dei conflitti calcistici non glien'è mai fregato niente. Solo spostarsi lo faceva sentire meglio. Gli auricolari nel casco suonavano drumm'n'Bass e dubstep, e prima di arrivare in bottega faceva il giro largo per passare dal punto SNAI di via del Brennero. La sua barbetta incolta disorientava e lo mostrava già maggiorenne. Ciò gli permetteva di scommettere i suoi due euro sulle partite del mercoledì e della domenica. Nelle cifre in cui la schedina dava le speranze di vincite Yuri vedeva il suo Mac splendente e i programmi già posizionati in ordine sul desktop. Poi motorino, Piazza Arcivescovado e Via Don Boschi controsenso, per la bottega.

Serena assunse Yuri senza pensarci. Gliene aveva parlato la sua amica che viveva a Livorno, di questo figlio di amici che voleva lavorare ed era pronto a far tutto. Serena ne aveva bisogno, il marito non andava ad aiutarla più ormai da sei mesi. La depressione blocca i sensi e le braccia, le parole smettono di uscire, lo sguardo diventa perso. Suo marito aveva cominciato a non sentire neanche più i clienti quando gli parlavano, guardava da un'altra parte, a volte parlava da solo. Serena cominciò a soffrire la vergogna nello sguardo delle vecchine che sembravano andare a fare la spesa lì apposta, per vedere quel matto di suo marito farneticare.
Serena non parlò mai a Yuri di suo marito, gli chiese solo per piacere di non fare via Don Boschi controsenso.

Una mattina la signora Grandinetti entrò simulando un buongiorno.
In cosa posso servirla?
Sssssi, allora, mi dia per favore due etti di salame e... come sta suo marito?
Serena poggiò il coltello che aveva appena preso in mano sbattendolo sul banco.  
Bene, signora. Le serve qualcos'altro?
Si, magari un po' di quel pane e.... senta ma quel giovine che lavora da lei? O chi è?
Serena non rispose, preparò i due etti di salame e il pane ad occhio, senza neanche chiedere alla signora quanto ne volesse. Mise tutto in una busta che poggiò sul banco, sputò fuori un arrivederci ed entrò nel retrobottega, appoggiandosi al muro con gli occhi chiusi. Appena sentì il campanello della porta suonare e il suono della sua chiusura cominciò a singhiozzare e a piangere, scendendo giù fino a raggomitolarsi con la faccia tra le mani. Dopo pochi secondi  alzò la testa e vide che Yuri era chinato davanti a lei, con dei fazzoleti in mano.
Serena raccontò a Yuri di suo figlio Davide. Una mattina d'estate di un anno prima gli disse di non andare al mare con gli amici e di andarla ad aiutare in bottega. Davide le rispose male al cellulare, la madre passò il telefono al padre che gli urlò di obbedire e di andare in bottega senza fiatare. Quella mattina d'estate Davide partì da Tirrenia col motorino, passò dalla nonna che abitava a La Fontina e guidò verso la bottega. Allo stesso tempo il Fiat Ducato del fornaio che consegnava il pane salutava Serena e suo marito in bottega, lasciandogli il pane e salutandoli scappando, perchè andava di fretta. Davide imboccò piazza Arcivescovado e prese Via Don Boschi controsenso, dove la sua ultima immagine fu il fornaio che gli andava incontro ingranando la quarta.

Yuri non usò più il motorino. Scoprì che facendo lo stesso tragitto in treno e camminando dalla stazione alla bottega aveva più tempo per ascoltare la musica che scaricava ogni giorno. Serena cominciò a prenderlo in giro, chiedendogli come diavolo facesse a piacergli, quella musica.  

mercoledì 19 ottobre 2011

piove o non piove

Si maschera nei ricordi consueti
il volto di chi ora è lontano.
Un fulmine incolore,
quando di sereno non c'è neanche il cielo.
I fiumi rompono gli argini, il pavimento di casa 
è una sabbia mobile, profonda e scura.
D'improvviso gli occhi annegano,
quando avevi dimenticato
quanto fossero ancora capaci di farlo.
Non resta che colmare il presente,
riempirlo d'azzardo e virtù.
Ruberò ad Eliot la pioggia di primavera,
eccitando le spente radici
dell'aria che andrò a respirare.
Ma mai mi fiderò dei falsi sorrisi del sole.

lunedì 10 ottobre 2011

garantito

Vivo in una città dove la calma te la devi guadagnare. 
E' una carezza alla solitudine quella che ti fa evitare i posti dove vanno tutti, una carezza che somiglia a quella di tuo nonno e alla sua grossa mano. E dato che io ce l'ho, la grossa mano di mio nonno, la mia solitudine ne abusa a dismisura. Per quanto serva, poi, se nei posti in cui vanno tutti ci vai lo stesso. Gli esìli servono a poco, la Siberia qui non c'è, la Siberia qui l'hai dentro. Bisognerebbe che un sole la scaldi un po', questa Siberia.
Come i buoni propositi funzionano solo se non ne hai mai parlato, il sole risorge solo se è già tramontato.

martedì 4 ottobre 2011

facciamo un bel gioco

Una virtù qualunque lacera la quotidianità e ti sembra così ovvio ogni incontro, ogni faccia e parola sprecata. Ma dove andrà mai a finire questo sorriso lasciato svanire nel vento? Non siamo nel sahara, giuro che quelle erano le alpi apuane all'orizzonte, lo giuro sulla mano sinistra sul mio cuore. Diamine, mi chiedono persino se credo in Dio, eppure le ossa sono le mie. Buona fortuna e buona notte. Buona incombenza, buon pensiero.

martedì 27 settembre 2011

io e Q

Entro e poggio lo zaino ai piedi del bancone, mi siedo sullo sgabello vicino alle spine. Si avvicina un ragazzo da dietro il banco, è rasato, discrete occhiaie, felpa nera con evidenti buchi da caccoloni di fumo. Rinfreschiamo il francese con frasi essenziali. 
- Une Guinness, s'il vous plaît
Non dice nulla e me la spina come si deve. Poi mi mette davanti il sottobicchiere con su la pinta da un ottimo aspetto, lasciando uscire dalla sua bocca un rispettosissimo Monsieur. Mi son sentito come quando in Irlanda mi davano da bere chiamandomi Sir. Per dirla alla Jack Torrance, questa è classe.
Dopo la prima, lunga e gustosa sorsata squilla il telefono. E' con lui che devo incotrarmi. E' Q. 
- Oi, dove sei?
- Sono al (guardo sul taccuino) Cluricaume cafè
- Tu sei un pazzo - dice ridacchiando - dammi dieci minuti.
Q lavora a Poitiers da un po' di tempo. Vi risparmio le noiose informazioni sul suo lavoro, lui lo vorrebbe. Saltiamo i tempi morti.
Arriva esattamente quando svuoto definitivamente la pinta. Mi dà la mano e si siede sulla sgabello a fianco.
- Da quanto sei qui?
- Da poco più di una pinta.
- Come facevi a sapere di questo posto?
- Preferivo darti appuntamento qui che in stazione. Come meta, la preferivo.
Q chiede altre due pinte all'oste che intanto si era tolto la felpa con le prese d'aria mostrando la maglietta con su la faccia ululante e spettinata di Neil Young. Neil Young che trova spazio anche nella filodiffusione del Pub. Riconosco il disco, Mtv Unplugged del '93.
- Questo pezzo va a pennello.
- Come si chiama?
- "Look out for my love". L'inizio dice c'è tanto da imparare per perdere tempo, c'è un cuore che brucia, c'è una mente aperta.
- Cosa ci fai qui?
- Non lo so, forse faccio come Neil, cerco il mio amore. E tu?
- Io sono stanco. Questa non è vita.
- E noi la facciamo, la vita. 
- Chissà se è ancora viva quella vecchia.
- Tu avevi la vecchia che urlava per le scale andate a fare la vita!, io avevo la vecchia che ogni cazzo di volta mi diceva è il vostro momento, è il momento dei giovani.
- Le vecchie non cadono più per le scale come una volta.
- Che pensi di fare?
- Forse torno, forse.
- Ti va di aspettare che finisce questo album e poi andiamo da un'altra parte?
- D'accordo, c'è un altro posto.
- C'è sempre un altro posto.
Quando Neil Young conclude "From Hank to Hendrix" siamo cinque a quattro per me. Con un altro amico che fa lo stesso lavoro di Q eravamo giunti ad una conclusione, una notte, molto lontani da quel pub. Il vero amico è quello con cui non c'è l'imbarazzo di restare in silenzio. Condivido il pensiero con Q. Lui è d'accordo.
- Ricordati lo zaino.
- Tranquillo, lo ricordo.
- Voglio vederti tra qualche ora.
- Sarà John Barleycorn a ricordarmelo.
- E chi è?
- Uno che ha ragione. Te ne parlo quando ci risediamo.
- Ti prego.
Sentenzio un ou revoir, merci pour la musique.
Q mi anticipa nell'uscire.
- Ti faccio strada, andiamo a fare la vita.

 

mercoledì 21 settembre 2011

favola breve a morale aperta #3

Sembrava finita, ma invece no. Il nonno di Alessio non si riaddormentò mentre il nipote era sceso in fretta e furia a comprare il gelato. Non fece caso nemmeno ai risultati delle partite, nonostante dal taschino della camicia spuntasse la schedina vogliosa di essere controllata. Il nonno di Alessio pensò a quello che aveva detto al nipote, al dubbio se gli avesse detto la cosa giusta. Alla figlia, cioè la madre di Alessio, non aveva mai dovuto parlare di queste cose. Alcune questioni le lasciava alla moglie, sapendo bene che anche la moglie non le avrebbe comunque affrontate. Un tacito silenzio. Un silenzio ereditato dalla figlia in tutta la sua adolescenza, fino al giorno in cui si è sposata. Poi forse qualcosa cambiò, la figlia cominciò a parlare di più di sè con suo padre, continuando a mantenere un rapporto secco e incolore con la madre. E poi c'era Alessio, e Alessio stravedeva per i nonni.
Alessio ritornò con il gelato, richiudendo la porta come quando era uscito, dolcemente, per non svegliare la nonna. Andò in cucina, mise la vaschetta nel freezer e raggiunse di nuovo il nonno in sala.
- Nonno la panna cotta non c'era, ho preso la stracciatella, va bene?
- Va bene, va bene.
- Hai controllato la schedina, nonno? Abbiamo fatto tredici?
- No, non ho ancora guardato.
- Controlliamo allora!
In realtà il nonno non giocava al totocalcio ma giocava i risultati alla Snai, dove il procedimento è simile, ma ogni volta che dovevano controllare i risultati diceva al nipote controlliamo se abbiamo fatto tredici.
 - Allora nonno?
- Niente Alessio, il Milan ha perso. Ora il Milan ci deve un sacco di soldi, un giorno di questi gli mando una lettera.
Alessio rise all'idea del Milan che doveva tanti soldi a lui e al nonno.
- Nonno posso prendere il gelato?
- Certo.
Alessio corse in cucina e preparò due coppette di gelato, per lui e per suo nonno, e le portò in sala.
Dopo poche cucchiaiate Alessio ritornò alla carica.
- Nonno, ti devo dire una cosa.
- Dimmi.
- Ho una fidanzata.
- Si? E come si chiama?
Alessio arrossì e prese tempo pulendosi la bocca sporca di cioccolato.
- Si chiama Luisa.
- Luisa è un bel nome. E' nella tua classe?
- Si. Però nonno, ho un problema.
- Dimmi.
- Mi piace anche un'altra.
- E come si chiama?
- Si chiama Marianna... e io un bacio a Marianna gliel'ho dato, nonno. Però uno solo!
- Ma non c'è niente di male Alessio.
- Ma non è che se Luisa lo scopre lo dice alla sua mamma e al suo papà e loro mi tirano le pietre?
- Ma Alessio cosa vai a pensare.
- Come la storia degli amici di Gesù che hanno raccontato in chiesa oggi, della donna che aveva commesso adulterio e loro volevano lanciarle le pietre addosso.
- Ma no Alessio, cosa vai a pensare! Non te le tira nessuno le pietre, adesso ascoltami bene. Tu a chi vuoi più bene, a Luisa o a Marianna?
- A tutte e due!
- Allora non dire niente a nessuna delle due. Se tu vuoi bene a tutte e due tu stai tranquillo perchè non fai niente di male. Non verrà nessuno a tirarti le pietre, hai capito? Mi ascolti?
- Si nonno.
- Bravo. Ora finisci il gelato che si sta sciogliendo.
Il nonno di Alessio infilò nelle ciabatte i piedi che aveva steso sul panchetto davanti alla poltrona e poggiò la coppetta vuota sul tavolino. In quel momento si accorse che la nonna di Alessio era lì sull'uscio della porta e che molto probabilmenta aveva ascoltato i discorsi tra lui e il nipote.
Riconobbe in lei uno sguardo di disapprovazione che aveva visto solo una volta, trent'anni prima.

domenica 18 settembre 2011

la lentezza

un incanto di carta brucia leggero e vola in alto
un risultato scontato dietro false carezze
cieli traboccanti che splendono sull'affanno
una sabbia invernale comoda su cui dormire

un lago derubato accoglie i sentimenti
pesci d'acqua dolce sono colpe e bui lamenti
il pescatore ride perchè l'esca ha un buon sapore
si specchia dentro l'acqua e riconosce la paura

riempito il secchio torna a casa soddisfatto
ha mobili marci ed è solo come il tempo
nell'olio caldo frigge l'odio con l'assenza
non toglierà le spine, sa che non gli fanno male

finì il vino che ha comprato in paradiso
sa che il giorno dopo tornerà a pescare
il pescatore ride perchè il vino ha un buon sapore
si specchia nel bicchiere e riconosce la lentezza

venerdì 16 settembre 2011

favola breve a morale aperta #2

Alessio poi è cresciuto, sapete? Senza credere ai miracoli, quindi è cresciuto bene.
Nonostante la nonna lo obbligasse ad andare a messa, lui sapeva che lei in cambio gli avrebbe preparato per pranzo pollo e patatine, e per pollo e patatine una scappatella di un'ora in chiesa la sopportava.
Una domenica salì sull'altare una suora per leggere il vangelo.
Faceva più o meno così:
Dal vangelo secondo Giovanni.... Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio...gli dicono "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa, Tu che ne dici?"..... alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei"... Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Alessio rimase a pensare alla parola adulterio tutto il tempo. Era tentato di chiederne il significato al parroco mentre prendeva l'ostia, ma si intimidì e lasciò perdere.
Uscito dalla chiesa assieme alla nonna, Alessio sudava dalla curiosità. Affiancò la nonna e trovò il coraggio.
- Nonna, che significa adulterio?
La nonna di Alessio non era mai stata una donna di troppi insegnamenti, nemmeno con sua figlia. Non era abituata alla curiosità dei bambini, la curiosità non era una faccenda di cui si era mai troppo occupata.
- Allora nonna? che significa?
- Significa... significa diventare grandi male.
- E perchè gli amici di Gesù volevano picchiarla?
- Perchè... perchè non era diventata grande come si deve.
- E tu sei diventata grande bene, nonna?
- Benissimo.
- E il Nonno?
- Dovrebbe.
- E la mamma?
- Lo vuoi il pollo con le patate, Alessio?
- Si, si, nonna!
- Che dopo segui le partite con il nonno.
Preso dall'entusiasmo Alessio arrivò a casa pensando al piatto di pollo con le patatine e a mettersi sul divano a guardare le partite con il nonno. Si mettevano sulle due poltrone uno di fianco all'altro, poi il nonno si addormentava, ma Alessio ci era abituato. Lo svegliava solo se segnava la Sampdoria.
Quella volta la Sampdoria non segnò, ma lui lo svegliò lo stesso.
- Nonno, nonno!
- Che c'è Alessio.
- Che significa adulterio?
- Significa... significa che se tu hai una fidanzatina e dai un bacio ad un altra bambina allora stai commettendo adulterio.
- E questo significa diventare grandi male?
- Non necessariamente, se vuoi bene a tutte e due puoi anche farlo.
- La nonna dice che tu sei diventato grande bene.
- Perchè le ho sempre voluto bene e le voglio bene ancora.
- E hai voluto bene solo alla nonna o hai baciato anche un'altra signora?
- Alessio ti va un bel gelato?
- Si, si!
Il nonno di Alessio diede i soldi a suo nipote per prendere la solita vaschetta con cioccolato, nocciola e panna cotta.
- Ti raccomando, Alessio, mentre esci non sbattere la porta, sennò svegli la nonna.
Alessio andò piano verso la porta di casa e la aprì e la richiuse dolcemente. Poi fece le scale correndo dalla felicità. Era da tanto tempo che non mangiava il gelato con suo nonno.

mercoledì 14 settembre 2011

la marmaglia

C'è una confusione virtuosa che regna per le strade, per le teste e per le case.
Una sensazione volubile d'impotenza mentre si guarda il telegiornale, un qualunque telegiornale, o si legge un quotidiano, un qualunque quotidiano.
Si ha come l'impressione che chiunque voglia qualcosa da qualcuno, sempre.
Ma questo si riflette nelle persone che incontriamo tutti i giorni, che ci stanno lontani e ogni tanto pensiamo, nei passanti nelle piazze in cui sostiamo.
Un movimento confusionale di occhi, bocche, teste e parole.
La regola a questo mondo è, dovunque, la marmaglia, diceva Schopenhauer.
Una maglia difficile da tessere.
Un mare in cui è difficile restare a galla.

venerdì 9 settembre 2011

favola breve a morale aperta

Conoscevo un bambino, si chiamava Alessio.
Ad Alessio non piaceva giocare a pallone come ai suoi amici.
Mentre loro formavano una porta coi giubbotti e cominciavano a giocare lui andava in giro per il parco per la sua attività preferita. I suoi amici non lo seguivano perchè lo credevano strano e preferivano comunque giocare a pallone. Alessio andava in giro, correva, si fermava, scrutava nell'erba finchè non la trovava. Una lucertola.
Ad Alessio piaceva staccare la coda alle lucertole. Era incuriosito da come un animale rimanesse vivo senza un pezzo del proprio corpo lungo quasi quanto il corpo stesso. Non gli sembrava come la coda dei cani o delle giraffe che aveva visto sui libri. Ad Alessio sembrava un miracolo, anche se Alessio di cosa fosse un miracolo non ne aveva la minima idea.
Un giorno si trovò a fare la stessa cosa. Trovò una lucertola e gli staccò la coda.
Mentre osservava la lucertola dimenarsi spostandola con una bastoncino, da un cespuglio spuntò velocemente un gatto nero che se la mise tra i denti mordendola per poi scapparsene via. Alessio non ebbe il tempo di capire cosa fosse successo, non capiva se quel gatto fosse reale o meno, ma l'immagine della testa della lucertola rimasta lì, senza il suo corpo, sotto i suoi occhi, lo riempì di delusione.
Smise di vagare nel parco e dal giorno dopo cominciò a giocare a pallone insieme agli altri.  Ai miracoli smise di crederci e mai più ci credette, anche quando gli spiegarono cosa fossero.

lunedì 5 settembre 2011

abbi dubbi

Una delle tante furbate autolesioniste delle funzioni di Facebook è venuta fuori da poco, ed è curiosa. Il fatto che ti ricordi cosa avessi scritto sul tuo stato un anno fa (e in alcuni casi due anni fa) fa scattare una sensazione di autocritica mischiata a al dubbio più esemplare: perchè cazzo ho scritto questa cosa?
Cerchi di fare mente locale sul come, cosa e con chi stavi vivendo quel periodo e alcune cose te le spieghi. Nel mio caso il con chi è risparmiabile per cui mi concentro di più sul come e cosa. E se un anno fa esatto mi prendevo la briga di ricopiare questo passo torna tutto, eccome.
Eccola una risposta al dubbio: non è cambiato niente.

 
Logoro, disilluso, disperato 
di mai riuscire a suscitar nell'anima 
degli uomini una vampa di passione 
con un arte ben mia; così vivo 
triste nei lunghi giorni... eppure a tratti 
mi sento traboccare d'una vita 
caldissima, potente che, oh! se mai 
riuscissi a esprimere sarebbe colma 
tutta la mia esistenza.
 
[Cesare Pavese]

giovedì 1 settembre 2011

qualcosa ritorna

Mentre vado a braccetto con Martin Eden o chiacchero con un professore universitario al solito bar, il pensiero del tempo passato smette di emarginarsi negli angoli bui della mente. Le immagini dei posti guardati e riguardati ed ignorati allo stesso tempo, accarezzati dagli anni dall'infanzia felice ed infelice, timida e rabbiosa, trovano spazio in ciò di cui siam veramente fatti. E anche di quello abbiam parlato, col professore al solito bar, mentre mi parlava di un suo ritorno a casa durato pochi giorni.  Non sembra, - mi ha detto - ma siamo fatti anche di questo, di memoria.Quanto è vero. Dopo un mese acuto, vivo e silenzioso nei posti dell'infanzia,  mi rendo conto di come sia stato fondamentale anche il minimo rigetto adolescenziale per capirmi qui, in questo momento, a mille chilometri di distanza. Il passato ha piene responsabilità sul presente, sul coraggio, sulla curiosità, sull'odio e sull'amore, dandoci attraverso i ricordi piccoli scampoli di verità. Niente potrà portarlo via, neanche il più radioso futuro del mondo. Se mi regalassero una sfera di cristallo, chiederei che mi racconti cos'è successo fino ad oggi.
Quello che viene dopo non mi interessa, quello che viene dopo non soffre fatica.
Deve solo accadere.

domenica 28 agosto 2011

Pennichella

E' successo quando ho sentito una bambina piangere.
Era sola sulla spiaggia, nessun adulto intorno e non so perchè ci feci caso, non c'erano nè adulti nè bambini attorno a noi. Solo il mare agitato. Mi avvicino e mi tolgo gli occhiali da sole mentre mi chino.  
Che succede piccola, perchè piangi?
La gamba, mi fa male la gamba.
Lei piange rumorosamente mentre le guardo il polpaccio gonfio e completamente arrossato. Glielo sfioro piano, dov'è arrossato la pelle è dura.
Quanti anni, piccola?
Sette.
Dove sono i tuoi genitori?
Non lo so... e i tuoi?
Questa domanda mi blocca. Gli occhi della bambina non sono quelli inondati di lacrime di un attimo prima. Ora solo due piccoli e profondi occhi castani, come i miei.
Sono... a casa.
Quale casa?
Quell...
Dalla spiaggia posso vederla la mia casa. Posso vedere la strada statale, poi casa mia, la ferrovia dietro, poi altre case, l'autostrada sulla collina, la coperta di ulivi verso la cima, poi il cielo. Mentre indicavo verso tutto questo non c'era più nulla. E quando dico nulla intendo nulla. Non il nulla di Bastian e Atreyu. Un nulla silenzioso, senza colore, senza luce nè buio.
Mi giro ancora verso la bambina, non c'è nemmeno lei. Una brezza tiepida mi accarezza la nuca. Mi giro e un' onda degna dei migliori film sulla fine del mondo si avvicina in lontananza. L'everest figlio del mare inghiotte il sole e giurerei che assorbisse anche il cielo mentre l'ombra copriva il mio sguardo. Un' unica cosa rimane da fare.
Svegliarsi.

venerdì 26 agosto 2011

il senso sfugge

quando si gode della pioggia sul mare d'agosto
quando si è più affezionati agli occhi che al fegato
quando non si chiamano le cose con il loro nome
quando si pensa che si possa urlare aiuto solo negli incubi
quando i passeggini sul lungomare sembrano dichiararti guerra
quando ci si accorge che le persone non indossano più le scarpe di una volta
quando ci si preoccupa di arrivi o di partenze che non ci riguardano
quando ci si preoccupa di giudizi o sentenze che ci riguardano
quando non ricordiamo di aver mangiato il primo mentre si mangia il dolce
quando si pensa che la felicità esista solo attorno a noi
quando si pensa che la felicità esista
oscar wilde diceva che esperienza è il nome che spesso si dà ai propri errori
mi auguro di abusare di quel nome fino alla fine dei miei giorni



giovedì 11 agosto 2011

Urlo muto

Anche se non c'è nessuno che mi ruba il vino o il cuore
(sul cuore lasciamo un margine di rischio)
sotto la torre di controllo il mare è mosso,
ma fin qui tutto bene.
Come Nick Carraway
mi vanto della mia tolleranza
e ammetto che essa ha i suoi limiti.
La sfera di cristallo va in frantumi
precipitando dal cielo sulla sabbia rovente,
scatena un urlo muto - il mio -
e accarezzo la ringhiera gelida
dove da bambino infilavo la mia grassa faccia
e i miei occhi che contavano le macchine
e mettevano a fuoco l'orizzonte.
Ora ho amore pronto per chiunque conosca,
anche per quella luna rossa
pronta a rimbalzare sul mare nel buio.
Perchè lo vedo - il buio - e mi parla.
Mi parla e non chiede,
perchè non sarà lui a salvarmi
dalla schiuma selvaggia
che scava in profondità.
L'onda si schianta silenziosa
come quell'urlo che buca le stelle.
Il buio è un amico imbattibile
e non nasconde mai la verità.


venerdì 5 agosto 2011

E devo ancora partire...

Sei furbo, orsorosso.
Non ci vuol tanto, anche se con la RedBear Airlines questi problemi non li avresti avuti. Non avresti quella risata inconsulta che ti viene mentre leggi il menu a bordo di un aereo Ryanair. Non è tanto la lattina di birra a cinque euro, ma il fatto che il whiskey costa meno e ti danno il Johnny Walker, come da Marino.
Non puoi stare mezz'ora davanti allo schermo a cercare di capire perchè non ti ha fatto il check-in on line anche del volo di ritorno.
Poi ad un tratto senti "tutti a terra!" e un colpo di fucile entra dalla finestra fa un buco nel muro. E' l'intuizione. Senti una voce.
Il check-in on line si può fare da 15 giorni prima della partenza. 
Tu torni tra 25 giorni. Che vai cercando.
Chi è stato a sparare, voi vi chiederete.
Ma è ovvio. Il cecchino on line.

martedì 2 agosto 2011

In vacanza a Govone

Posso fare a meno di ombrelli ed ombrelloni.
Mi piace bagnarmi e mi piace bruciarmi.
Posso chiedere al ristornate giapponese una birra.
La cameriera mi chiede "Asai?"
Io le rispondo "A so."
Posso rompere gli occhiali e usarli lo stesso.
Posso ostinarmi a combattere fobie.
Sei aerei in due mesi. Sono il miglior terapeuta di me stesso.
Da quando mi han detto che solo un cane può starmi vicino, desidero un gatto.
Anzi, una gatta. La voglio triste, scura, come se fosse in una prigione.
Voglio una gattabuia.
Per fare in modo che la valanga di L.Cohen non mi venga addosso mi rifugio nella caverna del funk e/o nella doccia.
Vorrei ringraziare Kabir Bebo per avermi insegnato il termine "govone".
E' come l'accappatoio, sta bene con tutto.
Al contrario di me.
Bravo Brunori Sas, bel concerto. Ogni tanto Rino Gaetano bussava, ma bravo.
Bella Il Pugile. Anch'io mi chiedo ogni tanto che tipo di pugile sarei.
Forse un peso Welter. I dolori del giovane peso Welter.
Per non farmi mancare niente mi rileggo Il Grande Gatsby.
Tanto per tenere allenati i complessi.
Un buon proposito per quando sarò in Calabria. Andare in bicicletta.
Da marina al paese, dieci chilometri di cui tre e mezzo in salita.
Non lo faccio da cinque anni. Prima chiamerò mia zia e le dirò di farmi trovare la frittata di cipolle più grande del mondo. Poi scriverò un testamento dove dirò di aver amato uomini e bestie dello stesso amore, come Arturo Bandini. Poi guarderò il tramonto farmi male. Poi farò il mio coast to coast preferito e mi vanterò di averlo fatto. Poi mi assicurerò che il Bar Mac Fly di Botricello esista ancora.
Poi, poi, poi. Quanto odio la parola poi.
Govone, invece. Govone sì che è una parola. Che è anche una cittadina in provincia di Cuneo. Se avessi fatto il militare lo avrei fatto a Cuneo. Ma ad ogni libera uscita sarei andato a Govone. Ci sarà un circolino ARCI, a Govone.
Sicuramente si.

domenica 24 luglio 2011

Ben venga luglio

In una quiete insicura che accarezza i momenti si rimane seduti a cercare, a provare.
Ho come l'impressione di avere una grande stazione ferroviaria dentro di me.
Passeggeri e bagagli, binari, treni veloci, superveloci, treni in ritardo. Treni che passano e non tornano. Treni che si fermano e le porte non si aprono.
Ci sono treni silenziosi. Sai che ci sono, non fanno rumore.
Passano vicino, lentamente.
Poi ti giri e vedi che sta fermo lì, al primo binario. Ti accorgi dei nuovi posti che ha attraversato, dei nuovi passageri, dei nuovi bagagli.
Chiedi permesso per entrare, dai il benvenuto a chi è in viaggio.
Poi lo lasci andare, perchè quel treno ha degli orari definiti che è meglio far rispettare.
Lo saluti quel treno e nel cuore vive il ricordo dei viaggi vissuti insieme.
Va via senza far rumore, sprigionando un'aria buona, nuova.
E si rimane seduti a cercare, a provare, in un macigno di ricordi sospesi.
Ci scappa un sorriso. Ben venga che nessuno lo vedrà.

sabato 23 luglio 2011

"Vuoi il caffè?" - "Sono in bagno" - "Lo so."

Ora il corridoio di casa mia è libero, ma una volta era tagliato in due.
A spezzare lo spazio era una enorme porta in stile cinese.
Vetri spessi, fiori colorati, una mitragliata negli occhi. La vecchia che abitava qui prima di me mi disse che io la porto via, un' ti pensà che te la lascio!
Signora, la prego.
Quella signora, vedova, meritava il rispetto decisamente in altre forme. Bastava il fatto che avesse due figli di cinquant'anni handicappati, cresciuti con un marito cieco. Le si può perdonare di aver tirato su un muro nella stanza più grande della casa creando uno stanzino piccolo e inutile e di aver messo la cucina sul balcone chiuso. Balcone/cucina direttamente comunicante col bagno con una finestra.
Non si sa mai, uno sta seduto sul cesso e può comunicare con chi cucina e viceversa.
Le necessità dei figli e di doverli lavare seduti sulla carrozzella ha fatto in modo che la doccia fosse praticamente un'altra stanza. Ogni tanto me la immagino, quella vecchia. Non so che fine abbia fatto, so che uno dei figli è morto e l'altro era su quella strada. Ci penso, in quella doccia, e nel vapore dell'acqua calda si respira il ricordo tiepido di quella fatica.
A volte rivedo anche la porta cinese.
Cristo, se era brutta.

mercoledì 20 luglio 2011

Bisogna aspettare

Bisogna aspettare
di guardare il proprio riflesso
nell'anta aperta della finestra
per capire come l'amore
tiri fuori la parte peggiore
del nostro egoismo.

lunedì 18 luglio 2011

Binario 27

Seduto per terra alla Stazione Termini.
La schiena appoggiata alla vetrina del chiosco di non so quale marca di gelati, addento un  panino con cotolettaverdureemaionese. Ho preso il menu con patatine e coca cola. Le patatine non mi vanno. Il mio sguardo attraversa le centinaia di gambe di donne e uomini che vagano in tutte le direzioni. Il mio sguardo non cerca niente, ma trova. Un bambina tira la mano della madre indicando verso di me, credo che volesse in realtà indicare i gelati. La madre guarda me e le strattona il braccio dicendo cammina e non guardare. Sullo schermo le persone comprano quello che vogliono grazie ai prestiti. Nelle stazioni c'è troppo rumore per capire cosa esce dagli schermi, non senti una parola. Puoi solo guardare. Guardi le persone felici. Grazie ai prestiti hanno tutto quello che vogliono. Io non trovo un pezzo di cotoletta che pensavo di addentare. Mi rifugio nel tabellone delle partenze. Il mio treno ancora non c'è. Ho perso il treno che dovevo prendere, me lo merito. Tendo a darmi la colpa a prescindere, ultimamente. Sullo schermo scorrono le notizie. Edoardo Nesi ha vinto il Premio Strega 2011. Non ho mai letto nulla di lui. Non ho mai letto nulla di molti. Riguardo il tabellone, il mio treno non c'è. Ma non c'è bisogno. Il regionale per Pisa parte sempre dal binario 27. Finisco il panino. Regalo le patatine al tizio che sbirciava nella spazzatura. Mando un sms da una cabina telefonica e vado a giocare l'enalotto. Mi avvio verso il binario e mentre penso ad Anna Karenina due belle ragazze dalla pelle scura e dai vestiti leggeri  camminano verso di me e ridono a squarciagola. E' un pensiero scontato, fate bene a ridere. Arrivo al binario e compro una lattina di moretti e La Repubblica. Mi siedo sulla panchina di marmo e sfrutto entrambi gli acquisti. Al binario 26 il treno per Fiumicino parte e una ragazza obesa con due trolley lo perde col fiatone. Seduti sulla panchina opposta alla mia una ragazza fa una foto nella mia direzione, poi abbraccia il ragazzo e si fanno una foto da soli. Leggo L'amaca di Michele Serra e guardo un aereo sfrecciare tra le nuvole e il cielo. Che bel silenzio che si porta dietro.
Ne vorrei un poco anche io.


"Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me."
[Sylvia Plath] 















provino a contatto by www.albertomartini.com

venerdì 15 luglio 2011

Specchiamoci

Riflessioni degli ultimi giorni, esplose durante la digestione.
Alla luce di una nuova luce che si infiltra timida in camera mia chiedendomi il permesso, mi guardo attorno.
Spostare i mobili nella stanza che per otto anni ha assistito ai tuoi deliri è una discreta esperienza. Come anche quella di pulire la libreria e riordinare i libri secondo un possibile ordine ossessivo/compulsivo. I beat coi beat, tutti e trentuno i libri dello zio Hank e dopo tutti e nove i libri di John Fante e dopo direi che i due romanzi di Cèline van bene. Gli americani insieme, Hamingway e Faulkner litigano al piano di sotto, e sotto ancora tutta la filosofia, e sotto ancora la telecamera e la vecchia Canon di Papà vicino a spartiti e fumetti. E poi i poeti tutti in un unico piano, sembrano un gruppetto che sussurra ma cosa cazzo vuole quello la, che cosa pensa di fare.
E poi i cd, tutti i De Andrè, ma si mettiamoli vicini ai libri su De Andrè. E poi il cantautorato americano sgomita lì vicino, e tutti i Tom Waits, e vai tranquillo amico mio, il Live In Volvo di Capossela lo metto da un'altra parte. E poi il jazz, e i masterizzati alcuni li butto, altri ma si, qualche volta potrei aver voglia di sentirli. E poi il rap, i dischi degli amici e i dischi che se fossi capace di usare Ebay venderei a pacchi. Spuntano fogli tra i cd, biglietti dei concerti, Charlie Brown lo metto vicino a Shakespeare, tra l'Amleto e La Tempesta. Spuntano vecchie letterine scritte da chi ora è lontano una vita, più di una vita e non solo la nostra. E i preservativi scaduti. E la foto di me che guardo trasognante Lisbona dall'alto a 18 anni. Mia madre la guarda e dice che bello che eri. E leva via la polvere. E mi ruba Carofiglio.
Ho spostato gli armadi. E poi i muri son bianchi. Troppo.
Ho spostato il letto. Ora c'è pù spazio.
Sembra un'altra stanza. Sarà la luce. Sarò io.
Domani prendo il treno e vado a festeggiare la laurea di un amico. Psicologia.
Devo proporgli uno studio. Mostrami la tua libreria e ti dirò chi sei.
Voglio essere il primo in analisi, come disse lo studente di ingegneria al primo anno con manie di protagonismo.
Ecco, questa me la potevo risparmiare.






mercoledì 13 luglio 2011

Come si pensa nei sogni

Racconto il sogno di stanotte.
Ero in un campetto di basket di quelli che vedi nei film ambientati nel bronx, un vero playground.
Il contorno una murata di graffiti di media bellezza, quelli che forse sono i migliori, quelli che ti ricordano le origini del writing. Non ne distinguo i colori.
L'intera visuale è in bianco e nero. Ogni cosa.
Attorno al campetto solo il cielo stellato, tutto il cielo stellato. Senza luna.
Al centro del campetto c'è un bambino, seduto a gambe incrociate con un pallone da basket in grembo. Indossa una tuta chiara e tiene un cappellino all'indietro sui capelli chiari e arruffati. Ha gli occhi piccoli e neri.
Mi siedo di fronte a lui, al centro del campetto, circondati dai graffiti, sotto il cielo e le stelle.
Non diciamo niente.
Mi sorride. Guarda in alto. Poi ancora me.
Mi sorride.
Ola, mi dice.
Sorrido.
Ciao, gli dico.
Non diciamo niente.
Mi guarda curioso. Allunga una mano, mi tocca la barba. Sorride.
Dibùjame un cordero, mi dice.
Non capisco. Lo guardo.
Por favor ... dibùjame un cordero....
Penso. Come se nei sogni si pensasse. Penso come si pensa nei sogni.
Mi tocco la tasca, non c'è la tasca. C'è il mio borsello. Guardo dentro, c'è il mio taccuino e la penna. Li prendo.
Faccio quello che mi ha chiesto di fare.
Strappo il foglio e glielo do.
Gracias... es pequeño! .... en mi casa todo es pequeño!
Lo so, gli dico.
Sorride. Io sorrido.
Sicuri che io e te non ci siam già visti?
Adiòs, mi dice sorridendo. Poi riguarda il foglio.
Adiòs, gli dico io.
E vado a preparare il caffè.



lunedì 11 luglio 2011

Faber a François

" ... E poi dove fuggire? Ormai si sa tutto di tutti: un mobile iridescente ci informa ogni giorno ed in tempo reale, come si usa dire, sul dolore, sulla vergogna, sul fragoroso germogliare dei grandi riti e sulla fame. Si sa tutto di tutti senza capire niente di niente perchè nessun obiettivo è capace, come lo erano i tuoi occhi, di trasformare l'emozione nella nostra stessa carne, così che tutto scorre e si mescola e non rimane che un confuso rumore di fondo, poco più di un ronzio. "


Tratto dall'introduzione di Fabrizio De Andrè alle Poesie di François Villon.
Tratto significativo per saperci guardare un po' meglio attorno. E la poesia aiuta.
E Faber lo sapeva bene.

 

domenica 10 luglio 2011

Anche adesso

La domenica mattina in Piazza delle Vettovaglie. Ore 9.30.
Il sole addosso con un caffè shekerato. Una sola bancarella di vestiti all'attivo.
Al tavolino di fianco un uomo col berretto bianco fissa la colonna davanti a sè.
Credo sia un residuo della notte.
Il caffè shekerato non è un granchè.
La piazza non parla, la casa con gli occhi mi fissa.
Ricordo la notte in cui ci ho dormito. Amava Rilke ed era matta come un cavallo.
La piazza è deserta, e io ho il sole addosso.
Ricordo un natale, con due amici. Stesso tavolino.
Piazza deserta, era sera, solo le decorazioni a illuminarci.
Certo che sta piazza sa essere bella, dissi.
Mi presero per il culo per un anno.
Domenica mattina.
La piazza è deserta, il caffè shekerato è finito, l'uomo col berretto bianco è andato via.
Certo che sta piazza sa essere bella, penso.
Anche adesso che il sole brucia e ho le mani e il cuore sudato.
Anche adesso che è presto ed è ora di andare via.



giovedì 7 luglio 2011

La solita mente

La terra è calpestata da zampe di rabbia
che lasciano orme indelebili
è una gara alla sopravvivenza per il toro
per l'uomo è un'adrenalina ereditata

osservo da appena dietro la barriera
e aiuto un uomo a salire mentre il toro gli passa accanto
il sole asciuga tutto l'alcool che mi han buttato addosso,
ma non c'è poi così caldo,
tutto questo calore non c'è

solitamente non mi faccio le foto da solo
solitamente non mi faccio le foto
solitamente esco male nelle foto
solitamente esco


Andare per vivere

Maria prepara la sua sigaretta con le sue mani leggere e sottili.
Ad Alcalan De Henares l’aria è ferma, il caldo accarezza le piante e il suo vecchio cane non riesce a dormire.
Maria ha i capelli grigi e corti di non segue una moda, ma di chi ha conosciuto la verità di una lunga malattia. Lei è leggera, sottile. I suoi occhi sono grandi e azzurri.
Mi guarda come se fossi suo figlio mentre mi versa altro caffè e mi racconta della rivoluzione.

Per tre giorni – mi dice – per tre giorni mia madre si chiedeva dove fossi, non sapeva se fossi morta, se i miei figli che tenevo per mano protestando por la calle fossero morti.
Ero una rivoluzionaria, maurizio, perché volevo che  Ceausescu sparisse, volevo la libertà per me e per i miei due figli.

Nel 1989 il figlio maschio di Maria aveva 9 anni e la pequena appena 1.
Ora loro parlano uno spagnolo fluido e si sono costruiti una vita qui, ad Alcalan De Henares.
La casa nativa di Cervantes dove su una panchina la statua di Don Chisciotte rimprovera quella di uno zittito Sancho Panza.

Lo spagnolo di Maria è lento ed efficace, poche e chiare parole fanno in modo che quando lei mi chiede entiendes, maurizio? io le risponda claro que si.

Ero una rivoluzionaria.
E che cosa ho avuto in cambio? mi chiede.
Maria alza le dita per virgolettarmi nell’aria la parola democrazia.
Spiegamelo tu, maurizio, cos’è la democrazia. Se ti guardi attorno quella che vedi è democrazia?
Se al posto di un dittatore c’è un politico incravattato che pensa ai suoi interessi mentre nella società o sei ricco o sei povero, e ti posso assicurare maurizio, i ricchi sono ben pochi.
E il paese scende, va sempre più abajo, va sempre più giù.
Come tutta l’Europa.

Io le racconto dell’Italia e lei sa tutto e sa come ci si può sentire.
Sa cosa vuol dire la parola che viene tolta, sa cosa vuol dire la repressione in entrambe le sue forme.
La repressione senza veli, senza vergogna, col manganello.
La repressione velata, ironica. La repressione educata e truccata.

E allora.
Allora meglio andare in un altro paese.
In un paese dove appena sentono la tua lingua si girano dall’altra parte dopo averti detto quanto tu es guapa.
Meglio andare via da un paese dove volendo posso vivere comoda, con case grandi, con tutte le comodità, dove tuo marito ha un lavoro sicuro, dove posso stare tutta la vita senza lavorare.
Meglio andare in un paese dove devo ricominciare e soffrire per far andare i miei figli avanti con i loro desideri. Pagando un mutuo, continuando a lavorare anche adesso quando il mio corpo me lo permette.

Il suo vecchio cane è sotto il tavolo, mentre lei mi parla lui mi lecca le dita dei piedi.
Io faccio finta di niente.
L’aria è ferma ad Alcalan De Henares. Il caos di Madrid è a due passi.

Le chiedo quanto sia giusto andare via.

La tua terra – mi dice – la tua vera terra è quella che dal sudore della tua fronte ti restituisce quello che ti meriti. L’amore per la famiglia rimane nel tuo cuore e da lì non se ne andrà mai.
Ma sono le tue mani e il tuoi occhi a dirti dove devi andare per vivere.

Attenzione.
Non andare a vivere.
Andare per vivere.

sabato 2 luglio 2011

Le cronache di Soria

Verso le 16 si sente una voce uscire da un megafono.
Sembra la sveglia della siesta. Come c'e' anche una sveglia mattutina. Immaginate un'orchestra che alle 9 gira per le strade con tamburi e fiati di ogni tipo suonando canti che vagano a meta' strada tra il tango e il punk.
Io mi sono svegliato, poi il sonno si e' conciliato. I miei compagni di fiesta emanavano il doposbronza nel loro sonno a bocca aperta sul divano. Passano 24 ore a bere cocacola mischiato a un vinaccio tipo tavernello.
Qui la mia salvezza si chiama caña e il prezzo per vivere e' di un euro e venti. Con un pezzo di pancetta fritto con formaggio e' la colazione dei campioni.
Per venire incontro al mio italiano mi dicono e' un mondo difficile e una vita intensa.
Sara'. Ma la siesta sta finendo.
E qui di pause ne ammettono poche.

mercoledì 29 giugno 2011

Redbear airlines

Il gate chiude alle 06.15 . Troppo presto.
Potrei avere un rapporto migliore con l'insonnia stanotte.
La possibilità di arrivare stanco all'aereoporto si fa strada, la mia mente è già preparata al giudizio finale.
Ripeto un concetto già espresso in passato, quando siamo in fila per l'imbrarco in realtà si è in fila per il giudizio universale. La fine, l'eclissi dell'esistenza.
L'ultima volta ho stemperato le ansie in aereo scrivendo un piccolo racconto pornografico con protagonsita me e gli enormi seni dell'americana mia compagna di viaggio.
Per dirla come Suor Giovanni Lindo Ferretti, un'erezione triste.
Domani vediamo cosa accade.
Milioni di persone volano ogni giorno su migliaia di aerei.
Milioni di persone. Ogni giorno.
Ignare che sotto il loro culo la terra gira a suo piacimento, seguendo il caso, lo schifo dell'umanità.
Eccoci, sto cambiando umore. Lo mantengo.
Meglio fare la borsa.
Que empiece la fiesta.

martedì 28 giugno 2011

Movida

io
collezionante di serate da svuotare
non si riesce neanche a piangere il giorno dopo
quando l'aria fresca che respiri appena sveglio non è quella del mattino
la sera prima ci si prova
si entra presto a nuotare nel piccolo mare
lui ti saluta e … schiocca le dita
l'aria sembra pulita e il locale sembra quasi un locale
e le ragazze che ti servono da bere abbozzano un sorriso
e mi versano una pinta che è l'unica mi dico
mi dico che è l'unica perché davvero basta svuotare le serate
mi dico che è l'unica perché il portafoglio si è strappato e ho perso tutto
ogni moneta d'oro che avevo l'ho buttata e adesso mi tocco le tasche e trovo solo tasche
mi dico che è l'unica mentre ne chiedo un'altra e finisce che il locale non è più un locale
e mi torna in mente perché lo chiamavamo cassamortaro
le persone si ammassano come se fossero a san firmin inseguite dai tori
e le ragazze versano da bere e hanno smesso di sorridere
e io ho perso il conto e mi ritrovo seduto al tavolo con presunti lavoratori autonomi
mi ritrovo a farmi offrire una becks da uno di loro che apprezza tanto la mia verginità
e mi assicura che appena fa cinquemila euro che in tunisia sono dieci torna
mi assicura che non spaccia e io ho bevuto abbastanza per credergli
e alle mie orecchie si avvicina la ragazza che di giorno fa la cameriera
- io sto andando in bagno - mi dice
io la guardo e annuisco e lei va via ridendo a squarciagola e mi ricorda il diavolo all'inferno
si, è l'inferno sto pensando, ma quanto la faccio lunga, quanto
divento nostalgico in un secondo
e penso se solo mi vedesse chi mi conosce davvero
e penso che chi mi conosce davvero non è mai esistito
mi viene da brindare agli assenti, come faceva il poeta
mi viene da brindare agli assenti e vorrei non esserci
così almeno mi mancherei un po' e brinderei a me stesso
e invece attiro i migliori
arriva un ex cantante che si dice in voga negli anni 80
e mi urla che il suo chitarrista di reggio calabria gli andava in culo ai pink floyd
e fa una spaccata
e graziano comincia a sentirsi escluso e bussa alle spalle di tutti i presenti compresa la mia
poi comincia a ballare a modo suo e ad intonare il suo richiamo all'ordine
OOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
gli chiedo se vuole sedersi, mi indica il bicchiere pieno sul banco come per dire "sono occupato"
dopodiché si gira verso una barista e le urla hhhhhhhhammmmmoooreeeeeeeee!!!!!!!!
e va bene così.
la nube di fumo fa invidia all'islanda
 e i miei polmoni sentitamente ringraziano
se questo è un circolo un giorno faremo assemblea
e io posso dire di esser tesserato
posso dire di essere adeguato a farmi investire dai tori
ciucciando ancora il latte delle stelle
e ci si ostina e siamo in tanti a naufragare
e il naufragare non è dolce
non è dolce per niente


[ciao Graziano]

lunedì 27 giugno 2011

Seghe elettriche mentali

Dovrebbero vietare l'uso delle seghe prima delle 10 del mattino.
Per seghe intendo seghe elettriche.
Il disboscamento estivo non comprende il furto del mio sonno. Già ne sono povero.
Baywatch non ha le stesse capacità soporifere del consorzio Nettuno. Non riesco a leggere. Guai a farsi fottere dalla memoria. Se entri nel limbo dei ricordi sei fottuto. Strane forme di vita approfittano della finestra aperta, la tachicardia è di casa. E se provo ad aprire gli occhi non c'è sole che mi punga la faccia, i riflessi delle foglie mosse dal vento somigliano a un invito ad alzarsi. Ma la sega rovina tutto.
La sega elettrica.
Ne comprerei una, se abitassi nel Nebraska in mezzo a una foresta. Ci costruirei panchine di legno e una sedia a dondolo dove mi siederei strimpellando un benjo. Anche questa è una sega. Mentale.
Seghe elettriche mentali.
La masturbazione fisica ne è la logica conseguenza.

"domani mi sparo,
ma una bella sega mi sparo!"

domenica 26 giugno 2011

A quel punto

Ricordo la prima comunione di un vecchio amico.
Ora lui è un militare, si fa le foto in posa in mimetica col mitra in braccio.
"Che vuoi farci maurì, tu magari ti senti a tuo agio con la chitarra, io con altre cose". Non fa una piega.
Ricordo la sua comunione, il pranzo coi parenti al ristrorante. Era maggio, ma già estate. Noi ci eravamo alzati prima da tavola, stavamo fuori a giocare a non so cosa. In televisione Jean Alesi e Gerard Berger arrancavano come sempre.
Quella Ferrari che arrivava sempre a metà classifica mi rendeva impotente.
Ora della Ferrari non me ne frega niente. Come della Formula 1.
Ho modi migliori per colmare la mia noia. Per colmare l'impotenza.
Chissà come sta quel mio vecchio amico.
Spero solo che nessuno lo mandi a giocare alla guerra.
A quel punto, meglio la Formula 1. 

sabato 25 giugno 2011

Grazie zia

Dalla finestra entra una musica che non mi piace. Un martello tiene il tempo del cinguettio stanco di uccelli nascosti. L'ombra della pila di libri accarezza la mia mano. Una forbice dorme vicino ad un vecchio caffè.
Mi chiedo se il mio anello chiuderà gli occhi con me.
Ho sentito una vecchia zia. Ha 91 anni.
"Com'eri bello quando venivi a casa mia e ti facevo la pasta asciutta e tu te ne correvi di qua e di là, eri curioso, volevi vedere tutto"
"Non è cambiato niente, zia. Solo che ho smesso di correre"
Mi è stata sufficente questa frase. Sufficente per capire i movimenti oltre l'ostacolo della mia anima.

"via i cancelli, per favore. che non mi servon più"

venerdì 24 giugno 2011

Oggi, senza mai

In un mare tempestoso come quello dei giorni perduti non resta che remare forte, spiegando le vele. Non si tratta di quiete infranta, o di velleità nascoste. Questo blog nasce perchè doveva nascere. Forse oggi più che mai.
Oggi che la contraddizione spinge e le pareti parlano.
Oggi più che mai.

Oggi, senza mai.